sabato 23 marzo 2013

Acqua


“Ti ricordi quella volta”, mi dicesti, “in cui ti ho cercato per giorni interi senza trovarti. Ero preoccupato e stanco, di correrti dietro a vuoto, come un cane con la sua coda”.
Cane, coda? Di che parli? Sono sempre stata qui. Sì, forse, te lo concedo, ho avuto anni travagliati. Ingombranti da portare. Ma per te ero sempre qui.
“Sempre qui ma con l’animo altrove. A correr dietro a sogni vaghi, a vite sempre in costruzione. Fondamenta gettate e poi rifatte, una, tre, dieci volte e più. Sfiancante da seguire”.
Eri teso mentre parlavi. Cercavi dentro te le parole giuste, ma ti conosco: le parole le avevi scelte con cura, in chissà quanti monologhi mentali, per poterti presentare a me a dire quello che pensavi da tempo.
Bastardo.
Ecco, l’ho detta finalmente, la parola.
Dovrei provar sollievo. Riconoscerti per ciò che sei, fuori dagli sguardi menzogneri dell’amante, compagna, moglie. Vederti finalmente senza la struttura che ti avevo voluto dare: uomo perfetto, amante ideale, bello brillante giovane.
Per te ho lasciato uomini, di gran lunga migliori. Ho tagliato i ponti con quello che avrei dovuto essere. Rinunciato, barattato. Scelto.
Dovrei provar sollievo.
 
“Sei sicura di quello che fai?”
Anche tu, papà, ti ci metti anche tu?
“Sei sicura di quello che fai?”
Sì. Cioè, forse, non so.
“Sei sicura di quello che fai?”
Sì, sono sicura. Sicurissima. Assolutamente certa.
“E’ molto giovane”.
Non così tanto giovane.
“Tutti quegli anni tra voi. Peseranno”.
Ma perché? Cioè, chi lo dice?
“Peseranno”.
Avevi ragione (“tutti quegli anni”). Ma ti prego basta. (“peseranno”).
 
Il cielo fuori è grigio, ancora. In questa stanza c’è poca luce. Va avanti da settimane. Piove di continuo, da talmente tanto che mi sembra impossibile possa esserci mai stato il sole.
Anche quando ti conobbi pioveva. Entrai nel bar sottobraccio alla mia amica, quella che tu conoscevi bene. Ridevamo. La pioggia ci aveva colto all’improvviso, obbligandoci a una corsa giovanile e inutile per cercar riparo.
Tu eri seduto a un tavolo, al solito da solo, con la tua aria da maledetto che tanto ti piaceva. Giocavi a fare il poeta. Davanti a te un liquore dal gusto amaro (te ne chiesi), il quaderno da cui non ti separavi mai, in mano la penna. Giocavi a buttar giù pensieri sconnessi, guardando il mondo da dietro gli occhiali portati più per vezzo che per necessità. La barba sfatta, i capelli fintamente scompigliati, quell’aria altezzosa e superba.
Mi colpì il modo in cui parlavi. La tua voce aveva una cadenza lenta e volli vederla dolce.
Sorridesti nel vederci, me e la mia amica, coi capelli bagnati, starnutire all’unisono.
Quella sera, a casa, ti pensai. Mi stupì rendermene conto. Poi, i giorni seguenti, passai più volte in quel bar, sperando di trovarti. Non so cosa cercassi venendo lì, se te oppure me.
Mi scoprivo la sera a pensare sempre più spesso a quello che avevo. Tiravo giù le somme di una vita finora senza pensieri. Mio marito, il mio ex marito, non si accorse di nulla.
Quando gli dissi che me ne andavo restò attonito, incapace di comprendere. Gli sfuggiva il senso di una scelta che gli parve avventata e stupida.
 
“Ti pentirai”
Pensa a te.
“E’ una infatuazione, un capriccio”.
Non capisci, non hai mai capito.
“Buttare tutto all’aria per un ragazzino”
Non è un ragazzino. E’ molto più uomo di quanto tu non lo sia mai stato.
“Ti pentirai”.
Forse. Son fatti miei
“Un ragazzino”.
Avevi ragione anche tu (“ti pentirai”). Contento ora? (“un capriccio”). Ma infatuazione certo no.
 
Mi portasti a vivere in questo posto. Mi piaceva. Non aveva nulla di quello che avevo lasciato e per questo mi piaceva. Barattare una cosa per un'altra simile non avrebbe avuto senso. Meglio stravolgere tutto. Ricominciare da capo. Riprendere in mano i fili interrotti anni prima per amor di convenienza. Rituffarsi nuovamente nei sogni giovanili, con qualche ruga in più, con un conto in banca migliore, le spalle coperte da una precedente vita. L’occasione per mettere in pratica tutto quello che avrei voluto fare. Continuare a lavorare, certo, cercando libri da pubblicare, come ho sempre fatto. Ma con spirito diverso, l’arte per l’arte e non per guadagno.
Era quello che tu dicevi sempre, che mi ripetevi ogni qualvolta cercavo di indirizzare le tue cose. Criticavi il mio voler cercare il consenso del pubblico, dandogli quello che si aspettava. Belle storie, semplici e lineari. Passatempi per la mente più che nuova linfa.
Ti introdussi nel mondo dei libri. Pubblicasti, finalmente, uno, poi un altro. Eri bravo, devo ammetterlo.
Mentre tu godevi del successo io cercavo nuove strade, per te e per me. Le tue si aprivano facili, le mie erano tortuose e strette.

“Lavori troppo”
Non mi sembra.
“Lavori troppo”
Cerco di realizzare.
“Hai l’aria stanca”
Non è facile mandare avanti le pubblicazioni e poi scrivere, anche.
“Stasera esco”
Va bene. Ho da scrivere.
“Stasera non ci sono”
Di nuovo? Dove vai?
“Non ci sono”
Hai un’altra?
“Che sciocchezza!”
Hai un’altra?
“Non complichiamo le cose”
Hai un’altra!
“Lavori troppo”
 
Bastardo.
 
Questo bagno schiuma è l’unica cosa che mi hai lasciato. Lo usavi sempre e a lui devi quell’odore dolce che lasciavi in giro. Non eri tu. Era un volgare sapone alla pesca.
Mentre lo verso nell’acqua calda della vasca mi accorgo che è quasi terminato. Non so se ne comprerò un altro simile. Mi ricorda troppo te.
Forse sì. Una volta ancora.
Mi immergo nell’acqua cercando sollievo. Il vapore che sale riempie la stanza di condensa. Sulle mattonelle cominciano a formarsi una miriade di gocce, pesanti, scivolano in basso, formando rivoli di acqua dalle molteplici forme.
Acqua. Spinta vitale. La cerco consapevolmente ora. Mi immergo nell’acqua tutti i giorni e ci resto ore. Tento di riprendermi ciò che mi hai tolto affidandomi all’elemento della nostra storia, scivolata via veloce, come un fiume gonfio di pioggia.
Chissà dove sei ora, giochi ancora a fare il poeta?
 
“Piove lacrime di sale
La terra”


Che stronzata.

2 commenti:

Rouge ha detto...

Roba vecchia (ma sempre attuale).

Syssa S. ha detto...

che se poi la leggi con Eric Clapton Autumn Leaves di sottofondo, ha un suo perché...